L’Unione europea è circondata da guerre a bassa intensità e conflitti armati tradizionali su un fronte di migliaia di chilometri da Tripoli a KievLibia ed Egitto, dopo i cambiamenti di regime, sono accesi da attentati e scontri, la guerra tra il regime di Assad - sostenuto dalla Russia - e i ribelli in Siria ha fatto centosettantamila vittime e milioni di profughi. 

In Iraq le milizie islamiste dell’Isis occupano città e posti di confine con la Giordania, mentre a Nord i peshmerga curdi si mobilitano intorno ai pozzi di petrolio.  

Hamas e Israele si scontrano a Gaza, mentre in Ucraina il neo presidente Petro Poroshenko sferra l’offensiva per liberare le zone Sud orientali, occupate da miliziani filorussi.  

Questo drammatico teatro geopolitico non sembra turbare finora troppo né i governi, né le diplomazie, né le opinioni pubbliche dell’Unione Europea che, dopo i Mondiali di calcio, sono intenti a seguire le lottizzazioni per il governo europeo, nominato l’eterno presidente Juncker. 

 L’aereo malese MH17, abbattuto sui cieli tra Ucraina e Russia, in aree controllate dai miliziani secessionisti anti Kiev, ci sveglierà ora dal torpore estivo? Il presidente americano Barack Obama e il leader russo Vladimir Putin, ai ferri corti da mesi, hanno brevemente discusso del caso al telefono, mentre i rivali sul terreno si rimpallavano le responsabilità in una battaglia psicologica combattuta sui social media. Gli esperti danno per scontato che come il volo coreano Kal 007 del settembre 1983, abbattuto da un caccia sovietico e il volo Iran Air 655 distrutto da un missile della nave Usa Vincennes nel luglio 1988, anche l’aereo Malaysia Airline MH 17, 280 passeggeri – di cui 23 cittadini americani, pare - e 15 membri dell’equipaggio, sia stato vittima di un attentato. 

 Da giorni nella zona si parlava di rampe di missili Buk, progettati dai tecnici russi dell’istituto Tikhomirov, montati su mezzi corazzati o camion, con una gittata di 22 kilometri, capaci dunque di colpire il jet che volava a circa 10.000 metri. E secondo il portavoce ucraino Anton Gerashenko, proprio un Buk sarebbe stato usato ieri. Mercoledì un caccia Sukhoi 25 dell’aviazione di Kiev era stato abbattuto da un missile aria-aria russo, secondo le autorità ucraine, mentre i ribelli si vantavano online di aver colpito, con missili terra-aria a spalla, altri due Sukhoi 25 lealisti (il governo di Poroshenko parla solo di un aereo colpito). 

 È ipotizzabile che i secessionisti siano responsabili della tragedia? Sono in corso verifiche ed inchieste, ed è ora possibile solo ragionare su cosa sta accadendo al confine Russia-Ucraina. Dopo l’occupazione della Crimea, accolta dalla popolazione locale con simpatia, il Cremlino ha provato a destabilizzare anche l’Ucraina, contando sulle incertezze di Obama e l’inerzia dell’Unione Europea, condizionata dagli ambienti filorussi, nei Paesi latini e fra gli imprenditori tedeschi, mentre il presidente francese Hollande vende sofisticate navi alla Marina di Mosca, addestrandone gli specialisti. Ma non tutto funziona stavolta bene nella strategia di Vladimir Vladimirovich Putin. In casa il suo consenso resta stellare, intorno all’80% (il doppio di Obama in America), ma i cittadini russi non vogliono l’invasione dell’Ucraina, memori dei disastri dell’attacco a Kabul 1979 che condusse alla dissoluzione dell’Urss.  

 Putin deve dunque usare i miliziani locali per indurre il presidente Poroshenko a staccarsi dall’Europa, tra sabotaggi, terrorismo, atti di guerra coordinati da militari russi. Kiev però rompe la tregua e libera le città occupate dai secessionisti, Slovyansk, Artemivsk, Druzhkivka. La popolazione è divisa, al contrario che in Crimea, ed è difficile per le milizie agire liberamente: ripiegano dunque su Donetsk, un milione di abitanti, perché l’attacco frontale di aviazione e mezzi corazzati contro un centro popolato avrebbe un numero alto di vittime, operazione complicata per Poroshenko. 

 I ribelli sentono però che Putin s’è molto raffreddato nei loro confronti. Non è la parata trionfale di Sebastopoli, i militari ucraini combattono, accettano le perdite, contano sull’aiuto Usa (solo equipaggiamento «non letale», giubbotti antiproiettile, elmetti, visori notturni) mentre i secessionisti imprecano contro gli sponsor tirchi del Cremlino. Un sito web a loro vicino rivendica subito l’abbattimento del MH17, dopo avere fatto sfoggio di rampe Buk, ma non appena i media di Kiev rilanciano foto e notizie, i comunicati vengono cancellati. È opinione diffusa nell’intelligence Usa che i ribelli abbiano confuso l’aereo malese per un jet ucraino, colpendolo. Radicalizzare lo scontro, a loro parere, potrebbe riaprire il conflitto e, nella ritirata verso Donetsk, i capi più estremisti sembrano aver preso la guida delle operazioni. 

 Le teste calde potrebbero avere invece aperto una falla clamorosa nella politica estera di Putin. Molto efficace nell’accusare gli ucraini di «fascismo e nazismo», rinfocolando il patriottismo della II guerra mondiale - 20 milioni di morti in Russia -, Putin non può attaccare Kiev in forze, né sostenere un’armata di terroristi che ormai non controlla più, mentre Poroshenko si avvicina all’Europa, costretta malgrado tutto a non isolare il pur cauto Obama sulle sanzioni. Lo sdegno per un missile dei ribelli contro il MH 17 sigillerebbe questa realtà. Il premier russo Medvedev esprime perciò cordoglio su twitter e l’ambasciatore Churkin rispolvera lo stile ruvido del ministro Urss Gromyko: «Non siamo stati noi». La guerra in Europa aggrava la sua l’escalation: sarebbe opportuno ne tenessero conto governi e Commissione Ue nel formare una solida squadra di leader tosti intorno al burocratico Juncker.