I più aspri critici dell’esperienza di Comunione e Liberazione, e i più fedeli militanti del movimento, dovrebbero leggere questa straordinaria Vita di don Giussani (Rizzoli), redatta in anni di monumentale lavoro da Alberto Savorana, come se trattasse di un personaggio storico di cui mai abbiano sentito parlare prima. Evitando cioè che i pregiudizi, positivi o negativi che il fondatore di Cl ha attratto a lungo su di sé, impediscano loro di riscoprire un «don Gius», così lo chiamavano i suoi studenti affezionati, inedito, come documentato da Savorana, che è stato vicino ieri a Giussani, oggi al suo successore Julian Carrón.

Un don Giussani che considera il regista Pier Paolo Pasolini «unico intellettuale cattolico italiano», che trova momenti di solidarietà con don Milani, il parroco che si scontra con la gerarchia cattolica per la «scuola di Barbiana». E di scontri con i vertici, quando a Milano la Diocesi è retta dal cardinal Colombo, Giussani ne ha molti, anche rivendicando con orgoglio in punto di morte «Ho sempre obbedito». La sua prima creatura tra gli studenti – è stato professore al Liceo «bene» Berchet, poi all’Università Cattolica – si chiama Gioventù Studentesca, e «don Gius» ammonisce: la centralità non è il lavoro sociale, politico o culturale, ma la radicalità «dell’annuncio» cristiano, la figura di Cristo. Uno studente spagnolo, che per essere vicino a Cl finirà in galera nella Spagna del dittatore Franco, propone di vivere «per Cristo e per i poveri», Giussani con irruenza spiega che Cristo viene prima, «o diventiamo solo marxisti», come obietta a un collega comunista del liceo.

Negli Anni 50 della Guerra Fredda, nel 1968 che spazza le università e svuota in un giorno i quadri di Gs, nel 1977 estremista che incendia le sedi di Cl e ne disperde le assemblee con i pestaggi (Paolo Mieli, ex direttore del Corriere, dirà che la sinistra deve delle scuse a Cl per il clima di intimidazione di allora e farà con coraggio le sue personali), come nella stagione in cui Cl e il Movimento Popolare assumono potere nella Chiesa, nella politica italiana, nell’economia e nei media, Giussani tiene un solo orientamento. È la critica, che Giovanni Paolo II porterà al vertice della Chiesa, al «marxismo e del materialismo» del secondo ‘900. Secondo il vescovo Camisasca, don Giussani «Non è stato ossessionato dal problema della modernità. […] Ha sentito l’epoca moderna come un tempo che stava finendo, su cui non era necessario soffermarsi. Occorreva invece ripensare in termini nuovi le questioni di sempre, che la modernità aveva a suo modo reso impensabili… ricominciare da capo, riscoprire le parole fondamentali, riguardare l’uomo in azione per coglierlo nei suoi dinamismi più profondi, nelle sue attese più radicali».

Quando Cl diventa fenomeno di massa, le grandi firme accorrono a intervistare Giussani, Giorgio Bocca, Massimo Fini, Giovannino Russo, provando a farlo cadere in contraddizione, gli parlano del suo voto alla Dc, della pillola anticoncezionale, dell’industria, ma il fondatore di Cl li spiazza – e Bocca in una ironica chiusa lo riconosce – insistendo che il suo discorso è altrove, in una fede che la politica non coglie. Il filosofo Althusser critica i comunisti e li vota? Io faccio lo stesso con la Dc, scherza Giussani. È impressionante in una pagina di Savorana, il malumore di Giussani dopo un’assemblea riuscitissima al Palalido di Milano, intorno al 1975. Mettendo in guardia i suoi dalle sirene della «politica», rimandandoli da «pretaccio», come una futura madre badessa di clausura, Monica Della Volpe, lo giudicherà al primo incontro da studentessa, Giussani sembra prevedere la deriva di «materialismo» che toccherà una generazione dopo leader vicini a Cl, e contro cui il suo successore Carron predicherà con energia. La futura badessa Monica Della Volpe ricorda come Giussani trattava i giovani che si avvicinavano a lui spinti anche da ambizione: si infiltra a «un pranzo di capetti con il Gius, al ristorante. Io li vedo tutti lì: piccini, ansiosi di carpirsi una parola, uno sguardo del capo. Insopportabili. Poi vedo Giussani che si fa portare un carciofo crudo, con una salsina. Comincia a staccare le foglie una a una, le mangia ed esclama: “Ah, come è buono questo carciofo! Come è buono questo carciofo!”»…Intanto Giussani «guarda quegli altri, gli lancia battute, zampate fra l’ironico e l’affettuoso, li prende in giro…».

Alberto Savorana, in oltre 1300 pagine, racconta non solo la vita di don Giussani, ma decenni di storia. Anni in cui al Berchet, Giussani «prof» di religione e i colleghi marxisti, dibattono di «fede e ragione» in corridoio, mentre gli studenti ascoltano. Al Circolo Peguy di Milano, un giovanissimo Gian Enrico Rusconi ragiona con Giussani di fede e politica, nasce la casa editrice Jaca Book (dal nome di una specie di albero del pane) che sarà la prima a tradurre il capolavoro di Grossman Vita e destino. Su Rinascita, settimanale del Pci, il futuro parlamentare Fabio Mussi denuncia Cl come misto di integralismo e marketing. La Stampa e il Manifesto accusano – la notizia sarà smentita – Cl di essere finanziata dalla Cia. Padre Davide Maria Turoldo, sul Corriere della Sera, polemizza in un articolo molto duro con l’«integrismo» di Giussani, chiedendosi poi perché Giussani non attacchi il terrorismo di destra, gli scandali, la corruzione. Perfino il mite frate Nazareno Fabbretti, a colloquio con Giussani, gli chiederà come mai quelli di Cl siano così detestati nella Chiesa, non nascondendo di condividere l’antipatia.

Più lontano vedono il cardinal Montini, poi papa Paolo VI e Aldo Moro. Montini, quando gli universitari cattolici della Fuci di Fabrizio Onida, che pure aveva diretto a suo tempo, si scontrano con Giussani per un libro sulla Spagna fascista, prende a sorpresa le parti di Gs, persuaso che la fede venga avanti alla politica. E Moro, all’apice del potere, andrà taccuino in mano, nascosto tra gli studenti, ad ascoltare «don Gius» e i suoi. Immaginate l’aneddoto, ricordato dal nostro – giovanissimo – Luigi La Spina, con protagonista un leader di oggi? Savorana non nasconde le critiche radicali rivolte a Giussani, gli abbandoni, le sconfitte, i momenti di depressione, per la precaria salute, o quando il cardinal Colombo lo manda in una specie di esilio on the road in America. Preoccupato di trovare mele cotte per il fegato e la cistifellea che ha a pezzi, Giussani vagabonda da Los Angeles a New York, ma appena i dolori gli regalano un certificato medico ad hoc, si precipita a riorganizzare Gs a Milano.

Ratzinger ne celebrerà i funerali, condividevano la denuncia di totalitarismo, materialismo e relativismo, la fede nella parola. Agli studenti del ’68 Giussani spiega che se i cristiani non predicano il Vangelo, allora il messaggio più rivoluzionario è Marx. Divertente a tratti, dal padre di Giussani vecchio socialista vicino ad Anna Kuliscioff, a «Gius» che si lagna di «essere brutto» perché i giovani si distraggono in classe, La vita di don Giussani è un capitolo del dopoguerra che tocca tutti noi. L’incontro in Spagna con don Carrón meriterebbe un saggio a sé. Perché con Vita di don Giussani, Savorana compie il lavoro di storico, attingendo ad archivi e documenti inediti. Ma il suo è anche un libro «politico», che parlando del fondatore di Cl ne indica la strada futura, contro le possibili «deviazioni», come i Fioretti di San Francesco nel dibattito medievale.

Contro il timore di Emilia Cesana, carissima a don Giussani sugli altri leader del movimento, «Speremm desfen no quel che don Giussani el fa», speriamo non distruggano quel che ha fatto don Giussani, una citazione spesso ripetuta dal cardinale di Milano Angelo Scola. Un pericolo contro cui lavora Carròn e che ha così esorcizzato il giorno dei funerali di Giussani: «L’unità tra di noi è il dono più prezioso che nasce dall’accogliere questa iniziativa. Chiedo la grazia, per la responsabilità affidatami da don Giussani, di poter servire questo dono dell’unità». Un libro da leggere per capire una figura chiave del nostro Paese, un manifesto di guida politica per chi in Cl militerà.