Le reazioni seguite agli ultimi nuovi dati sulle attivazioni e cessazioni di nuovi contratti rilevate dalle comunicazioni obbligatorie di aprile 2015, primo mese intero di vigenza delle tutele crescenti, sono parte di un copione prevedibile che negli ultimi due mesi è andato in scena con poche variazioni.

“+ 210mila contratti, + 48mila i posti fissi”, è la sintesi preferita dalla stampa, conforme a quella proposta dal Ministero del Lavoro. Aumenta l’importanza del lavoro a tempo indeterminato, che stando alle cob pesa oggi il 22,7% (16,7% ad aprile 2014), mentre diminuisce quella di tutte le altre tipologie contrattuali.  Seguono le osservazioni di quanti (per la verità pochi) rammentano che, al netto delle trasformazioni (rapporti di lavoro quindi non aggiuntivi), la differenza tra il saldo occupazionale (attivazioni - cessazioni) di aprile 2015 e quello di aprile 2014 è di sole 7235 unità. Si ribadisce quindi che le comunicazioni obbligatorie (le informazioni che i datori di lavoro devono trasmettere alle autorità in caso di assunzione, cessazione, proroga o trasformazione dei rapporti di lavoro) non tengono conto della maggior parte dei lavoratori pubblici e autonomi, né si riferiscono agli occupati in carne ed ossa, visto che una persona può essere titolare di più contratti, contemporanei o successivi. Bisogna quindi attendere le rilevazioni statistiche dell’Istat, che nei mesi scorsi hanno ripetutamente contraddetto chi tentava di leggere nelle cob il segno di una ripresa dell’occupazione.

Già il 28 novembre 2014 il Ministero aveva pubblicato i dati delle cob dando adito all’accusa di confezionare i numeri a sua disposizione con lo smaccato intento di smorzare l’effetto di quelli pubblicati dall’Istat il giorno stesso. Come detto, le due serie di dati sono in realtà complementari e non alternative, ma la confusione creata allora si è riproposta ultimamente con più frequenza data la scelta dell’Inps di istituire un Osservatorio sul precariato che pubblica anch’esso dati prelevati dalle Cob, e data la scelta del Ministero (successiva a diversi solleciti) di pubblicare i dati delle cob mensilmente e non più trimestralmente.  

In meno di due mesi (a partire dal 30 marzo), con la pubblicazione dei dati di martedì, si contano così 7 pubblicazioni di numeri sul lavoro, tra Ministero, Istat e Inps.

 

C’è da chiedersi quale sia la reale valenza esplicativa di serie così ravvicinate di dati. Nel suo fortunato saggio divulgativo del 2012, La nuova geografia del lavoro, l’economista Enrico Moretti forniva una possibile risposta rammentando che:

“L’eccessiva attenzione ai fenomeni di breve periodo genera informazioni incomplete e irrilevanti. Gli eventi di oggi, questa settimana o di questo mese non sono poi così rivelativi, perché i fondamentali di un’economia si sviluppano a un ritmo molto più lento”.

Si può presupporre che anche il Governo e l’Istat condividano questa visione dato che sia il rapporto annuale dell’Istituto di statistica, sia il Documento di Economia e Finanza prefigurano trend della ripresa economica ben diversi da quelli comunicati con i dati sui boom di contratti a tempo indeterminato. Anche Filippo Taddei, responsabile economico del PD, lo ha ricordato alla stampa più volte: l’andamento dell’occupazione segue quello dell’economia con almeno 6 mesi di ritardo.

Di fronte a questa netta separazione tra comunicazione tecnica e divulgazione, risulta difficile evitare le accuse di propaganda cui il Governo è andato incontro negli ultimi due mesi.

La successione esasperata di dati non ha giovato certo alla chiarezza informativa, come hanno riconosciuto anche diversi giornalisti. In particolare l’editoriale pubblicato su Il Foglio il 30 aprile dal titolo "La verità, vi prego, sul lavoro" ha suscitato la risposta del presidente dell’Istat Giorgio Alleva il quale ha reso noto di aver proposto al Ministro Poletti la costruzione di “un sistema informativo integrato [...] per fornire una comunicazione più ricca e integrata”.

Proprio con questo intento Alleva, il Ministro Poletti e il presidente dell’Inps Tito Boeri si sono incontrati l'altro ieri.

Bisogna però precisare che quanto perseguito non è tanto un miglioramento del monitoraggio tecnico delle politiche del lavoro. Questo è un tema che è stato affrontato con ampia dedizione legislativa, ma con scarsi risultati pratici, da tutte le principali riforme degli ultimi 15 anni. Lo fa anche il Jobs Act che si sottopone al monitoraggio annuale istituito dalla riforma Fornero, di cui si è vista sinora la pubblicazione di un solo rapporto.

L’integrazione proposta e ricercata ha invece il preciso scopo di “evitare possibili fraintendimenti e fornire all'opinione pubblica un quadro di conoscenza completo ed organico sull'andamento del mercato del lavoro e dell'occupazione”, così il comunicato del Ministero del 13 maggio

È evidente che il piano divulgativo presupporrebbe che gli stessi obiettivi di chiarezza e precisione fossero raggiunti a livello tecnico, il che richiederebbe però, a sua volta, il superamento di quella cultura proprietaria dei dati che ha fatto naufragare i precedenti tentativi di armonizzazione delle fonti informative; per esempio quello del 2008, quando proprio l’Istat, con la partecipazione del Ministero e di diversi enti territoriali, aveva avviato il progetto Guida (“Gruppo di lavoro per l’utilizzo integrato di dati amministrativi per il monitoraggio e l’analisi dei mercati del lavoro locali”). 

Per ora, però, sembra che le istituzioni puntino a prevenire almeno la confusione a livello comunicativo, laddove questa confusione non esiste a livello tecnico. Per tanto si potrebbero auspicare quanto meno dei comunicati integrati, che leggano in modo complementare, e non alternativo, i dati amministrativi e quelli statistici. Ciò non annullerebbe lo spazio di manovra per un confezionamento dei numeri tendenzioso, ma ne permetterebbe a sua volta una verifica più agevole,  evitando il rischio di fare leva su un supposto antagonismo tra istituti, che ne danneggia vicendevolmente la credibilità.