Il 12 gennaio 1953, una settimana prima di lasciare la Casa Bianca, il presidente americano Harry Truman scrisse una lettera al professor James L. Cate, come esorcizzando gli spettri della Storia: «Il generale Marshall mi spiegò che l’invasione del Giappone sarebbe costata fino a due milioni di vittime», e per questo si decise a bombardare Hiroshima e Nagasaki. «Usare la bomba ha chiuso la guerra, salvato vite umane, dato alle nazioni libere il modo di guardare alla realtà».  

Lo sguardo del mondo libero, 63 anni dopo, si concentra sul discorso che Barack Obama, democratico come Truman, ha pronunciato a Hiroshima, primo presidente Usa a visitare la città e render omaggio alle vittime della bomba atomica. È stato, come spesso con il cerebrale, amletico leader Usa, un discorso toccante e punteggiato da contraddizioni. Insignito dal Nobel per la Pace, fiero di avere annunciato a Praga, nel 2009, il manifesto per liberare il mondo dalle testate atomiche, Obama ha varato un piano di riarmo nucleare di mille miliardi di dollari (880 miliardi di euro), pur di mantenere il vantaggio strategico su Russia e Cina, in piena corsa alle armi. Obama ha mantenuto la postura tradizionale Usa, pronti a usare per primi il blitz atomico.

E malgrado la retorica appassionata per la fine dell’era atomica, ha potenziato, non trasformato in aratri secondo la profezia biblica di Isaia, l’arsenale nucleare.  

Il presidente che, nei suoi libri, si propose di «unificare il Paese, perché al di là dei colori di guerra dipinti in volto… siamo tutti americani» si lascia alle spalle gelo tra Casa Bianca e Congresso, una campagna elettorale avvelenata, la rabbia di Sanders, il nichilismo di Trump.

Barack Obama, ancora con tutti i capelli neri, va all’Università del Cairo nel 2009 e propone «un nuovo inizio», discorso memorabile per retorica, ma di candore ai limiti dell’ingenuità. Il Presidente sembrava allora illudersi che bastasse dire alla gigantesca «umma» islamica, la comunità dei credenti, - «Non sono George W. Bush, mio padre era musulmano» - per la riconciliazione, solo per scoprire presto che la rivolta fondamentalista, i nazionalismi, il terrorismo jihad hanno soggettività remote, radici politiche ed ideologiche oltre che religiose, irriducibili ad ogni apertura.

Critici e amici dell’ancor giovane Presidente, incanutito da quello che Kennedy chiamava «il mestiere più solitario», si scambiano una battuta malinconica, «Obama? Il mondo lo ha deluso». E così il premio Nobel apre a Cuba, riarma il Vietnam, tornato amico per paura della Cina, sollecita l’accordo nucleare con l’Iran. Che nessuno dei tre regimi, in cambio dell’ambito riconoscimento, apra, anche solo di un filo, sui diritti civili, non turba più il carismatico Obama. Come registra la celebre intervista a The Atlantic, s’è rassegnato, a suo giudizio gli Usa non hanno energia, o strategia, per cambiare il mondo, si accontenta di marcare i suoi obiettivi, sperando che possano, in futuro, maturare. Il Presidente che voleva chiudere le guerre a Baghdad, Kabul e contro il terrorismo, smantellando Guantanamo, è rimasto in Afghanistan, sa che la ritirata dall’Iraq è stata acerba, ha tenuto aperto il carcere speciale e, con i voli segreti dei droni, martella con una campagna aerea spietata terroristi ed islamisti. 

Qual è dunque il «vero» Obama? Il diplomatico dei trattati o il maldestro stratega del raid annunciato e abortito in poche ore contro Assad in Siria? Gli storici avranno il vantaggio di conoscere l’esito dei suoi Sì, No e Forse, noi contemporanei lo ammiriamo rendere omaggio parlando ai marines «a tutte le vittime della Seconda guerra mondiale», senza «scuse» ipocrite che avrebbero cancellato le verità dure di Truman e fatto infuriare milioni di asiatici e americani, memori della ferocia razzista giapponese. Nel 1985, Ronald Reagan provò, per primo, a rendere omaggio agli ex nemici, visitando il cimitero militare tedesco di Bitburg. In un angolo però, tra tanti dimenticati soldatini, c’era qualche tomba di ufficiale nazista, bastò per polemiche, scontri, proteste. Perché la Pietas coprisse finalmente anche i nemici ci son voluti altri trenta anni, così siamo fatti noi esseri umani. Poi Obama ha compiuto il rito di compassione aperto dal suo predecessore repubblicano. 

 

Facebook riotta.it