Il presidente americano Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping arrivano al loro secondo summit con umori diversi. Xi appena rieletto leader della potenza che lo studioso Ian Bremmer, dalla copertina di Time, considera «vittoriosa» del XXI secolo, con lo «Xi-pensiero» materia di laurea in 20 università, tra cui la prestigiosa Renmin di Pechino. 

Solo Mao ebbe questo onore, un corso in «Deng-pensiero» fu offerto solo dopo la morte di Deng Xiaoping. Trump arriva invece con l‘inchiesta su Russiagate addosso a tre consiglieri, il ministro del Commercio Ross impigliato in paradisi fiscali, le brusche sconfitte elettorali di Virginia e New Jersey.  

La posta si alza repentina, entrambi i leader devono portar a casa il risultato, Xi per mostrare di non aver strafatto accumulando potere e non perdere il buon rapporto con Washington, Trump per offuscare le cattive notizie e rilanciare la manifattura americana. Il primo summit, in primavera, andò bene come feeling, Trump non diede la stura alla polemica sul commercio contro Pechino, i cinesi - dai tempi di Confucio maestri di diplomazia - offrirono concessioni minori, importazioni di carne, pagamenti elettronici, gas naturale, registrando in Cina, giusto durante il vertice, tre nuovi brand per le aziende della First Daughter Ivanka. 

Venne poi approvata un’ambiziosa agenda dei «100 giorni», che non ha avuto alcun successo, troppo complesso il business globale che porta a un deficit commerciale di 347 miliardi di dollari (299 miliardi di euro) a vantaggio dei cinesi. Alla vigilia della partenza di Trump, Robert Lighthizer, rappresentante Usa per il Commercio, denuncia «Da 25 anni negoziamo, se stiamo ai patti dei cinesi presto il deficit commerciale sarà di 750 miliardi!». 

Xi vuol rimandare Trump contento alla Casa Bianca, Cina e America hanno troppo bisogno l’una dell’altra per strappare, e quindi ecco che il gruppo di ecommerce cinese JD.com acquista carne bovina e suina del Montana per 1,2 miliardi di dollari, grazie ad alcuni divieti cancellati da Xi, la Viroment, trattamento acque, firma contratti per 800 milioni di dollari e alla fine il discusso Ross potrà vantare affari per 9 miliardi, alla delegazione guidata da manager Boeing e DowDuPont. 

Ma le speranze parallele, per Trump summit da Re del negoziato che sa creare lavoro, per Xi summit da Imperatore del «Sogno cinese» garante della pace mondiale, sono frustrate dalla perenne agitazione nucleare del dittatore nordcoreano Kim Jong-un. Trump ha pronunciato in Sud Corea una severa requisitoria contro le violazioni dei diritti umani del regime di Pyongyang, «toni mai usati da un presidente, mi son venute le lacrime agli occhi» dice Jeong Kwang-il, dissidente detenuto in gulag da Kim, ora attivista nel gruppo «Niente Catene in Nord Corea», e chiede a Xi di pressare sul vassallo coreano, limitando l’emigrazione di lavoratori e mettendo sanzioni sul petrolio. Trump lamenta a Xi il silenzio totale di Kim per non disturbare il Congresso del Partito comunista, ma la diplomazia cinese resta persuasa che solo un’intesa globale, Cina, Sud Corea, Usa, Russia, Paesi asiatici e Onu, possa «vedere» il bluff nucleare di Kim. Trump e i suoi consiglieri dichiarano che «non tollereranno una Corea nucleare», Kim è persuaso che solo la bomba atomica lo sottrarrà alla «minaccia Usa» che già suo nonno aveva combattuto lungo il Trentottesimo Parallelo, i cinesi non vogliono missili Usa al confine ma detestano l’instabilità. Il secondo summit prenderà dunque ancora tempo, ma il tempo stringe per Trump, che vuole successi prima dell’incerto voto di midterm 2018, mentre gioca a favore di Xi, appena rinominato. «L’arte del negoziato» dei best seller di Trump prevede anche la possibilità di «ribaltare il tavolo», Confucio e Mencio insegnano a Xi a negoziare senza mai deadline: vedremo quale strategia avrà più campo.