Con il discorso ai vescovi statunitensi e l’incontro con il presidente Obama, alla vigilia del saluto al Congresso, papa Francesco chiude due guerre.

La prima, il Kulturkampf, guerra culturale sull’aborto che, dai tempi di Ronald Reagan, ha opposto la gerarchia conservatrice dell’episcopato Usa al partito democratico, a lungo riserva di voti cattolici. La seconda, altrettanto dolorosa, è la guerra civile all’interno della Chiesa, che ha visto cardinali, vescovi e intellettuali tradizionalisti contro parroci, suore, fedeli progressisti, scottati dallo scandalo pedofilia, mentre le chiese si svuotano verso l’agnosticismo o altre confessioni cristiane, da un totale del 23,9% i cattolici son scesi al 20,8. Temi come interruzione della gravidanza, eutanasia, sacerdozio delle donne, omosessualità avevano portato papa Ratzinger a avviare una procedura contro le religiose della Conference of Women Religious, vicenda che sotto papa Bergoglio - pur senza ancora avere risolto i dissensi - si distende.

Secondo il suo costume, papa Francesco ha detto ai vescovi di non volerli né giudicare né apostrofare, chiedendo loro di non abbandonare le antiche campagne, aborto incluso, ma di gestirle con ascolto, compassione, umiltà, non da una torre d’avorio. La tragedia dell’aborto viene affiancata alle piaghe del nostro tempo, «vittime innocenti dell’aborto, bambini che muoiono di fame o sotto i bombardamenti, migranti che annegano in cerca di una vita migliore, vittime del terrorismo, delle guerre, della violenza, del narcotraffico, dell’ambiente devastato dall’uomo predone…» non per sminuirla o relativizzarla, per chiarire che dall’egoismo narcisista derivano sofferenze e peccati.

Davanti a Obama e ai vescovi, Francesco si dice «figlio di emigranti», evocando il tema cruciale della battaglia Casa Bianca 2016 ed elogiando il Presidente per l’impegno contro l’effetto serra condiviso con l’enciclica «Laudato si’». «Il papa interviene nella politica Usa» equivoca il Washington Post, ma Francesco non muta l’approccio, rispetto per dottrina, canone e tradizione, ma formidabile sforzo, fino al tono aspro da profeta se necessario, perché sacerdoti e prelati si pongano all’ascolto di tutti, peccatori inclusi, senza albagia o moralismi.

La Chiesa americana ha traversato un deserto, da quando il cardinale di New York O’Connor condannava gli omosessuali durante l’epidemia Aids fine Anni 80, e poi di notte andava in ospedale dai pazienti in agonia a confortarli. O quando l’arcivescovo di Milwaukee Weakland aprì tante speranze con la riconciliazione per le donne che avevano abortito, per finire a sua volta travolto da uno scandalo.
Strade perdute, ora riaperte. Tra i gringos del Norte, negli Usa, il Papa argentino predica ascolto: nell’America polarizzata della campagna 2016, dove la rauca contrapposizione alla Donald Trump è umore dominante, il Papa del dialogo è controcorrente. Le folle lo ascoltano beate, gli intellettuali chic di destra lo trafiggono maligni, perfino i giudici della Corte Suprema, sei cattolici su nove, si dividono, i giudici Roberts, Kennedy e Sotomayor andranno alla messa del Papa, Scalia, Thomas e Alito no. Francesco sembra scherzare «Sono marxista? Recito il Credo!», ma intende serissimo: Io credo. E voi?