Può un portiere parare un treno lanciato a piena velocità? No, anche un grande portiere, un professionista che ha giocato con la sua nazionale, ha difeso la porta del Barcellona, ha conosciuto e vinto la paura del calcio di rigore, nulla può contro una locomotiva lanciata senza freni. Così nel 2009 è morto, suicida, Robert Enke, numero 1 della nazionale tedesca e portiere del Benfica e dell’Hannover. Aveva perduto una figlia per un difetto cardiaco, era entrato in depressione e aveva avuto una giornata no, giocando una partitaccia in Turchia con il Fenerbahçe, i tifosi l’avevano tempestato di bottiglie e accendini, “da allora mi era sembrato di vivere nella nebbia”. Neppure il ritorno in Germania, i gradi da capitano, il ritorno in Nazionale, l’adozione di una bambina, sollevano la nebbia della depressione e Robert Enke va a parare il treno locale in corsa.

La sua storia, “A life too short”, una vita troppo breve, è narrata da Ronald Renge, una delle tante storie che si tramandano sui portieri, tutte diverse tra loro, tragiche, drammatiche, comiche, incredibili, perché nulla sembra mai normale nel ruolo più bizzarro del calcio. Se la nebbia copre di dolore la fine del grande Enke, la nebbia torna in un'altra storia da portiere, ma stavolta lasciandoci sorridere. Il giorno di Natale del 1937, in Inghilterra, la squadra del Charlton Athletic gioca contro il Chelsea. Sono i tempi in cui il Fumo di Londra significa ancora nebbia fitta e, al quarto d’ora della ripresa l’arbitro sospende la partita per impraticabilità del campo. I giocatori tornano negli spogliatoi con l’arbitro, zuppi, gli spettatori, imprecando, vanno a cercare il bus o la metro. Solo, dimenticato, perduto, rimane tra i pali della sua porta Sam Bartram, portiere del Charlton. “Pensavo, cavolo le stiamo davvero suonando ai Pensionati (nomignolo allora del Chelsea, The Pensioners, ndr.) e battevo i piedi contro il freddo. Non vedendo nessuno mi spingo cauto ai limiti dell’area, cercando di guardare nel nebbione sempre più fitto. Non vede nulla, arretro borbottando “La difesa del Chelsea è proprio sotto tiro”. D’un tratto una sagoma solitaria si fa avanti nell’oscurità, un poliziotto. Mi guarda incredulo “E tu che ci fai qua? La partita è stata sospesa da un quarto d’ora, sei solo in campo” racconterà Bartram nella sua pittoresca autobiografia “By myself”.

La nebbia tragica in Enke diventa comica in Bartram, ma quella che lo scrittore austriaco Peter Handke chiama “L’angoscia del portiere prima del calcio di rigore” in un romanzo che il regista Wim Wenders porta, cupo, sugli schermi, sigilla in un ruolo assurdo, per sempre, la vita del portiere, nel libro l’assassino Joseph Bloch. Chi crede che l’assurdità sia cucita sulle maglie che danzano sulla riga di porta, come il numero 1, non cita solo i portieri “matti”, Tacconi della Juventus, Zenga, dell’Inter e della Nazionale, il colombiano Higuita “El Loco”, il pazzo, che calciava con i piedi sulla testa nella “mossa dello scorpione” e finì tra i narcotrafficanti, Albertosi, vicecampione del Mondo 1970, che nello spogliatoio fumava una sigaretta. No, quando si vuole parlare dell’assurdità del portiere, la citazione d’obbligo è il premio Nobel per la letteratura Albert Camus, autore de “Il Mito di Sisifo”, “Lo Straniero”, “La peste” e da giovane, ad Algeri, bravo portiere del Racing Universitaire Algerios, detto Rua. Se davvero il portiere vive di assurdità chi meglio di Camus può rappresentarlo? Per tutta la vita lo scrittore ripeté “Sono passati molti anni e ho visto molte cose, ma quel che ho imparato, con sicurezza, sulla moralità e il dovere dell’uomo, lo devo allo sport e l’ho imparato al Rua”.

Il giovane Albert Camus portiere nel Rua

Il giovane Albert Camus portiere nel Rua

Ma, come la nebbia si muta da tragedia in commedia per due diversi portiere, così chi abbina la follia e l’assurdità al ruolo è subito smentito. Perché se uno scrittore Nobel dell’assurdo, Camus, ha giocato in porta, in porta ha giocato anche un premio Nobel per la Fisica, Niels Bohr, con la squadra danese Akademisk Boldklub. Il fratello maggiore, Harald, un importante matematico, fece parte della nazionale danese medaglia d’argento alle Olimpiadi di Londra 1908, quando il calcio debutta tra i cinque anelli, segnando due gol. Niels preferisce le parate, anche se, dice la leggenda, una volta era così assorto da non vedere un pallone rotolare pericolosamente verso l’area e la folla, ruggendo, lo mette in allarme. Dopo la parata Niels ammette candido “M’era venuto in mente un problema di fisica e prendevo appunti sul palo…”

I fratelli Bohr, giocatori dell’Akademisk Boldklub

I fratelli Bohr, giocatori dell’Akademisk Boldklub

Insomma, un portiere può essere campione dell’irrazionale come del razionale, e senza ricorrere al Nobel Bohr possiamo ricordare il campione del mondo italiano Dino Zoff, estremo difensore del Napoli e della Juventus, che nessuno ha mai visto perdere le staffe. Prima dei trionfi spagnoli del 1982, Zoff fu messo in croce nel 1978, per due gol da lontano incassati dall’Olanda. Secondo la stampa “Dino non ci vede bene”, una calunnia che Zoff smentirà con il resto della sua carriera. Quando gli chiesi però, nel corso di una puntata della trasmissione “Eco della Storia” cosa pensasse di quelle critiche e di quel Mondiale, che vide gli Azzurri di Enzo Bearzot quarti e lodati per il bel gioco, Zoff rispose solo “Fossi stato più in forma io, andavamo in finale”. Un portiere filosofo.

Del resto proprio Zoff ha scritto la prefazione all’edizione italiana del saggio “Il Portiere” di Jonathan Wilson (Isbn edizioni) e Wilson reagisce con nervosismo alle troppe citazioni intellettuali, “Solo perché Camus giocava in porta non implica che ogni portiere sia dedito a nevrotiche sedute di autoanalisi…”. Vero, ma la leggenda nasce dai troppi miti culturali, il poeta russo Evtušenko aveva in squadra il numero 1, lo scrittore argentino Osvaldo Soriano, autore dello spassoso racconto “Il rigore più lungo del mondo”, con la frase migliore mai scritta a proposito del calcio “…quel giorno non avrebbero segnato neanche in una porta grande come l’arcobaleno…” era a sua volta portiere, il ruolo, insomma, è magico. Magico e, certamente, simbolico, perché Vladimir Nabokov, futuro autore dei romanzi sensuali “Lolita” e “Ada” gioca –dove se no?- in porta all’inizio del Novecento, prima alla Scuola russa Tenishev, poi al Trinity College di Cambridge, e scrive nelle sue memorie “Grazie a Dio la partita gira lontano da me, all’opposto limite del campo fradicio. Una pioggerella pigra cade lenta, poi esita, ricomincia…Distanti percepisco suoni smorzati, un grido, il trillo del fischietto, il tonfo di una pallonata, ma tutto sembra poco importante, sconnesso da me. Non sono più il guardiano di una porta del football ma il guardiano di un segreto… Ripiego le braccia e mi appoggio al palo di sinistra, ho perfino il piacere di chiudere gli occhi, e sento il mio cuore che batte, e solo remoto il suono interrotto del gioco, mi credo un essere esotico, alieno, mascherato da portiere in Inghilterra, mentre compongo versi in una lingua che nessuno capisce, in un paese che nessuno conosce. C’era poco da meravigliarsi che fossi così poco amato dai compagni di squadra…”.

Lo scrittore Nabokov, fantasioso portiere del Trinity College

Lo scrittore Nabokov, fantasioso portiere del Trinity College

O, se preferite, il ruolo di porta potrebbe essere addirittura sacro addirittura, se ricordate che anche il papa GiovanniPaolo II, da ragazzo, se la cavava benissimo in porta e solo la seconda guerra mondiale lo distolse dallo sport. E seguite sul questo sito quanti portieri hanno avuto nella loro vita un filo diretto con Dio, fino a Leonard Small, “Il portiere Santo”…

Karol Wojtyla, futuro papa Giovanni Paolo II ragazzo portiere a Cracovia

Karol Wojtyla, futuro papa Giovanni Paolo. II ragazzo portiere a Cracovia

Gli aneddoti sui portieri sono infiniti, Bert Trautmann, paracadutista tedesco sopravvissuto agli orrori del Fronte russo durante la Seconda Guerra Mondiale, difensore di porta del Manchester City, nel 1956 si rompe letteralmente l’osso del collo durante la partita ma resiste fino al fischio finale. John Burridge, portiere giramondo, chiedeva alla moglie di tirargli sempre addosso della frutta, quando meno se l’aspettava, per avere i riflessi pronti, Gigi Buffon ricorda che il suo coraggio nelle uscite viene da un gioco in famiglia (un po’ sadico in verità…) i cugini gli legavano le mani e lo costringevano a fare le capriole senza potersi schermare con le braccia nelle cadute. L’inglese Shilton si appendeva con una corda per i piedi a una trave, sperando di allungarsi un po’.

Ad accrescere il fascino i soprannomi, che i portieri –solitari- attraggono più dei compagni, Cudicini Il Ragno Nero, Zoff San Dino, Dasaev Cortina di Ferro, Olivieri Ercolino Sempre Piedi, Julio Cesar Acchiappasogni, Bossio Magia Elastica, Beara Ballerino dalle Mani d’Acciaio, Planicka il Gatto di Praga, Ghezzi Kamikaze,Yashin la Pantera Nera, il Gatto Nero, il Ragno nero, la Piovra nera…ll portiere della nazionale russa, considerato uno dei più forti della storia sembra attrarre nomignoli più di tutti. L’ho visto giocare una volta, da bambino a Palermo, in un’amichevole con la sua Dinamo Mosca. Tutto in nero, padrone della porta, prese un gol dall’idolo locale, un centrattacco di nome Troia, ma ad ogni pallone che prendeva la folla sussurrava di ammirazione. Troia voleva quasi scusarsi, per tutta la vita potendo raccontare, come in una pagina di Soriano, nei bar della periferia siciliana “Io? Io ho fatto gol a Yashin ragazzi, alla Piovra nera…”.

Una classica parata di Yashin con la Dinamo Mosca

Una classica parata di Yashin con la Dinamo Mosca

Eppure nei primi anni del calcio, quando la Regina Vittoria governava Londra e il mondo, gli Stati Uniti erano giovani e sperimentavano le regole della pallacanestro tutti erano portieri. Le regole redatte dalla English Football Association nel 1863 permettevano ad ogni giocatore di fermare la palla con la mano in campo, tranne subire una punizione. Nel 1871 –spiega Wilson- solo il portiere poteva usare le mani, ma ovunque gli capitasse senza restrizioni di sorta, nel 1887 il diritto di toccare il pallone venne confinato nella propria metà campo e infine, nel 1912, i numeri 1 vennero definitivamente esiliati in area di rigore. Al Mondiale 2014 il portiere tedesco Neuer ha stupito toccando in un solo match una dozzina di volte fuori area, nel 1953 il portiere magiaro Gyula Grosics fece meravigliare la folla allo stadio di Wembley, per i tocchi da fuori. È il gioco a zona, trade mark olandese anni Settanta, che apre praterie davanti al portiere e lo invita ad uscire dall’esilio e lanciare l’assist. Dall’olandese e juventino Van der Sar capace di lanciare assist al compagno Bergkamp, al brasiliano e interista Julio Cesar, il portiere ha piedi da numero 10, centrocampista, non solo coraggio da paracadutista pazzo.

Lo scrittore Sergio Sant’Anna è un brasiliano, nato in Argentina con un nome italiano, potete immaginare un cocktail di fede calcistica più inebriante? Bene, nel suo racconto “Nò ultimo minuto” Sant’Anna immagina l’angoscia di un portiere che, dopo aver preso un gol che forse poteva parare, riguarda alla moviola, ossessivamente, la palla che parte, la parabola, la propria reazione e ogni volta si illude di parare, di abbrancare la sfera di cuoio o fibre moderne, sentirne tra le dita guantate e sul petto la rassicurante sagoma. Invece stringe aria ed è gol, una volta dopo l’altra come in incubo. E un incubo è stata davvero, non nel racconto di Sant’Anna ma nella miseria della vita umana, l’esistenza di Moacir Barbosa, l’innocente portiere del Brasile che, sconfitto come tutti i suoi compagni per 2 a 1 nella decisiva partita contro l’Uruguay al Mondiale 1950, si vede addossare l’intera colpa. Il Brasile perde per presunzione, ingenuità davanti al razionale Uruguay di Obdulio Varela, Schiaffino e Ghiggia, ma i brasiliani incolpano Barbosa, lo riducono in miseria, gli negano perfino accesso alla Nazionale anni dopo, al bando come il presunto iettatore della triste novella di Pirandello, “La Patente”.

Iettatore, Santo, Pazzo, Filosofo, Fisico, Romanziere, Mistico, Kamikaze, chi è il portiere? Un graffito di fisica sul palo, un verso quando il gioco è lontano, sentirsi soli nella nebbia? Lo amiamo, ne siamo sedotti perché ci è fratello, chiamato ogni istante ad opporsi ai cucchiai maligni del Destino.