L’Italia fa scuola in politica. Il repubblicano Trump è paragonato a Berlusconi, il democratico Sanders propone come modello la nostra sanità pubblica (ebbene sì) e Sergio Moro, il giudice federale che, a 42 anni sta mettendo sotto processo la classe dirigente brasiliana, si ispira all’inchiesta Mani Pulite e ai magistrati di Milano. In un saggio titolato “Riflessioni sul caso Mani Pulite, Mãos Limpas”, malgrado l’errore in bibliografia “Gionvanni Falcone”, Moro si dichiara erede dei nostri giudicihttp://goo.gl/jEaqbB  e, con tale investitura, procede nell’indagine sul caso della compagnia petrolifera Petrobas, tre miliardi di euro di mazzette ai politici in cambio di contratti e favori. Moro non ha esitato a coinvolgere l’ex presidente e padre della patria dei poveri, Luiz Iñacio Lula, e ora, con la Camera ad aver votato la messa sotto accusa della presidente Dilma Rousseff e in attesa della conferma del Senato, può portare alla caduta del governo e a nuove elezioni. Il lettore riconoscerebbe tante immagini italiane nell’inchiesta Lava Jato, autolavaggio, la delação premiada , premio alla delazione che scagiona chi accusa davanti ai giudici i complici, la prisão cautelar, la carcerazione preventiva per spezzare la resistenza degli accusati che non confessano, il mensalão, l’assegno mensile di 12.000 euro versato in nero ai parlamentari il cui voto serve al governo per non andare sotto. E poi le intercettazioni tra Lula e la Dilma, la protetta di cui l’ex presidente si lagna adesso “è come una figlia: dice di volermi bene e non fa mai quel che le dico”, rivelate alla stampa per evitare che una nomina sottraesse l’ex presidente ai magistrati con l’immunità. Sinistra e destra si accusano a vicenda sui giornali amici di “Colpo di stato”, i corrispondenti esteri si schierano con passione militante, la Borsa sale e scende seguendo gli scoop.

Nominando il giudice Moro tra i leader più influenti al mondo per la rivista Forbes, l’economista Moises Naim non ha dubbi “La coesistenza passiva con la corruzione, da sempre endemica in America Latina, può diventare residuo del passato”.

Che il miracolo economico brasiliano finisse così presto rottamato pochi lo aspettavano. Il Nobel per l’economia Paul Krugman dichiarava nel 2012 a San Paolo “Il vostro paese è il cocco dei mercati finanziari”, il Financial Times brindava alla “Brazilmania”, ma non appena il prezzo delle materie prime, dal ferro al petrolio, è sceso, e l’imponente domanda dalla Cina ha rallentato, il modello di sviluppo distorto che Lula a sinistra, e le oligarchie a destra, hanno imposto allo sterminato paese ha ceduto. Dilma, come tutti chiamano la presidente, ha oscillato dal primo al secondo mandato presidenziale tra ricette di “austerity” care al Fondo Monetario e populismi alla Chavez in Venezuela, spesa pubblica senza ritorno di crescita per i poveri del Nordeste, sua base elettorale. Una manovra che ricorda quella della vecchia Democrazia Cristiana nel nostro Sud, fondi a pioggia in cambio di voti, scarso sviluppo industriale, economico, sociale.

A 108 giorni dalla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici a Rio De Janeiro, con la zanzara Zika che spaventa con la sua epidemia di febbre i turisti, davanti a manifestazioni di piazza enormi –per ora più grandi quelle contro il governo, perché i militanti sindacali sono disgustati- la Rousseff annaspa. Quando la televisione ha mostrato in diretta, voto dopo voto, la Camera sul suo rinvio a giudizio, milioni di brasiliani son rimasti sconvolti per la mediocrità volgare di una classe politica, che parla pomposa di ideali dopo gli anni dolorosi della dittatura militare, ma cerca solo di salvare la pelle dagli scandali, con il capo accusatore, Eduardo Cunha a sua volta travolto da processi per corruzione e riciclaggio di danaro sporco. Il popolare umorista Helio de la Pena mastica amaro “La Camera è come un ristorante, meglio non vedere cosa succede in cucina…” “Propongo fondi per trapianto di capelli ai deputati calvi…”, i suoi due milioni di followers su twitter @helio ridono incavolati. Lo studioso marxista Perry Anderson, in uno sterminato saggio sulla rivista The London Review of Books, paragona in negativo gli esiti politici di Mani Pulite a quelli possibili di Mãos Limpas, e anticipa ulteriore caos http://goo.gl/f3VNiV . Su Foreign Affairs invece Moises Costa scommette che il Senato confermerà l’impeachment per la Rousseff, e prevede o elezioni anticipate o un governo del vicepresidente Michel Temer, del conservatore partito Pmdb, sempre che Moro non colpisca anche lui. La Casa Bianca preferirebbe che Temer stabilizzasse il paese con altre riforme, raffreddando la crisi e, con una gaffe studiata a tavolino, il vicepresidente ha anticipato “per errore” via Whatsapp la sua manovra economica in un messaggio radio. Giubilo della Borsa e Dilma a rispolverare gli slogan di un tempo, quando era guerrigliera e scontò anni di galera: “Cospirazione!” visto che nei sondaggi Temer ha appena l’1% di consensi. Povero, grande Brasile, altro che 7 a 1 contro la Germania…

Tratto da La Stampa