Doveva essere la Coppa di Mario, e lo è stata, ma Götze, non Balotelli. Doveva essere – scrive il popolare blogger di Rio Mauricio Savarese - Coppa disastro organizzativo, roghi e proteste in strada ma capolavoro e vittoria del Brasile in campo, ed è stata invece gestita come se Rio fosse in Svizzera e la Seleçao fosse San Marino, dieci gol subiti in due partite, due sconfitte consecutive in casa come non accadeva da 60 anni. La Germania ha vinto, con merito indubbio, la quarta Coppa, raggiungendo l’Italia che non ha ancora mai battuto in una partita valida per Mondiali o Europei, e stavolta i commenti non sono stati «Panzer», «Squadra grigia», «Darth Vader del calcio…» e s’è vista una Germania romantica come ai tempi del Giovane Werther, che sa vincere alla fine con il cuore una partita giocata con la testa, Sturm und Drang in maglia bianca.  

 Venti anni di lavoro della Federazione, 320 scuole, 7 milioni di calciatori militanti e due coach intelligenti, Klinsmann e il neocampione Joachim Löw, creano il vincente sistema di passaggi senza arabeschi, partendo dal formidabile portiere Neuer, passando per il minuscolo Lahm, l’esperienza di Klose – record di gol in Coppa - fino al raziocinio di Schürrle, Özil, Schweinsteiger. Müller, attaccante che confonde Maradona («Un calciatore senza muscoli?»), sembra esile, uno spaesato studente liceale ed è infatti l’unico, in squadra, che abbia passato i durissimi esami di maturità tedeschi, ottenendo l’ambito diploma Abiturprüfung, non solo ragazzi tosti con il pallone, ragazzi intelligenti e, dice Arrigo Sacchi, «La virtù principale per un calciatore è oggi l’intelligenza». 

Torneranno al ballo Mondiale le Cenerentole Brasile, Uruguay, Spagna, Inghilterra e Italia, salvate dall’essere le peggiori solo da Australia e Giappone? E come? Per quanto riguarda gli Azzurri se non cambiano dirigenti, mentalità e organizzazione del calcio, azzerando violenza, stupidità, burocrazie e corruzione, c’è poco da sperare vista anche l’opacità Under 21. Ma i tempi son più veloci di Schürrle sulla fascia, si cade in fretta ci si rialza in tempo reale, volendo. 

 Il 25 novembre 1953, prima della tv, voli low cost e web, l’Inghilterra, aristocratica madre del football, ricevette una sonora lezione 3-6 a Wembley dalla magica Ungheria – cui poi una Germania in odore di doping strapperà un titolo meritatissimo nel 1954. Gli inglesi giocavano con il WM, lenti, con stivaletti fino alla caviglia, passavano e caracollavano marcando a uomo. Gli ungheresi avevano adottato lo schema mobile 3-2-5, non davano riferimenti, indossavano scarpini moderni ed erano in grado di correre i cento metri in 11”. Per imparare la novità agli inglesi serve una seconda goleada, 7 a 1 a Budapest il 23 maggio 1954, stessa botta del Brasile con la Germania. Gli schemi di Guardiola ispirano Löw, possesso e passaggi, a Mourinho guarda Sabella, ripartenze e se occorre autobus-difesa parcheggiato in area. 

 Possiamo imparare da loro, e con noi il Brasile dove la federazione è ancora più fossile che a Roma, il vecchio boss Havelange la affidò al genero Teixeira che l’ha tramandata al tirapiedi Marino, risultato talenti che fuggono, stadi vuoti (presenza media 15 mila spettatori nel presunto paese del calcio), sporadiche violenze, grandi numeri da foche ammaestrate in campo per deliziare folle ingenue, salvo poi prenderle in campo internazionale. La presidente Rousseff ha provato a strumentalizzare il successo nella Coppa per le elezioni di ottobre contro i rivali Campos e Neves, adesso minimizza e vanta l’organizzazione ok. Ma in Brasile l’economia comincia a perdere i colpi come Oscar, Fred e David Luiz e la vera lezione del Mondiale 2014 è dunque che non ci sono confini del Samba, il mondo è globale e dal lavoro al calcio le regole sono uguali, e dure, per tutti. Duecento milioni di brasiliani, che hanno mostrato in questi giorni meravigliose doti di generosità, gentilezza, altruismo anche quando vivono in vera difficoltà personale, scoprono con sorpresa che c’è un solo «jogo» e se sia «bonito» o no non lo decide il numero dei dribbling da circo, lo decidono, purtroppo, i concreti, ferrei, arcigni risultati. «Alla tedesca», per intenderci.