Ogni anno la società di consulenza finanziaria Deloitte stila la “Football Money League”, la lista delle prime 20 squadre al mondo per fatturato e nessun club carioca ne fa parte: nemmeno i Corinthians, la società più ricca del Paese, con i suoi ricavi cinque volte inferiori a Barça e Real Madrid. Sono lontani i tempi in cui, con Joao Havelange presidente Fifa, il Brasile comandava nel calcio e anche se oggi si trova stabilmente fra le prime sette economie più potenti al mondo, produce solo il 2% del Pil calcistico mondiale: pallone e denaro nel Paese di Pelé viaggiano a due corsie, salvo qualche rara convergenza virtuosa, come nel caso dei diritti televisivi, che dal 2010 a oggi hanno fruttato alle squadre del “Brasileirao” oltre un miliardo di euro.

Proprio la rivoluzione della tv satellitare, a partire dagli anni Novanta, è stata fra i fattori determinanti che hanno creato intorno al pallone un’industria globale dell’intrattenimento, insieme alle sponsorizzazioni, alla compravendita dei giocatori, ai ricavi degli stadi e al merchandising; ma se i numeri e le dimensioni del calcio sono intrecciati con politica ed economia, e segnano un solco profondo fra un paese e l’altro, è lecito parlare di un modello tedesco, un modello inglese, un modello brasiliano e così via, un paradigma per descrivere cosa ha funzionato e cosa è andato storto. 

Contraddizioni e forze opposte appesantiscono i piedi del gigante verdeoro: da un lato le storiche imprese degli eroi in campo, miti fondanti dell’identità nazionale e dall’altro, corruzione, club gestiti da ex tifosi senza competenze manageriali, compravendita dei giocatori in mano a fondi di investimento. Il risultato è un assetto sui generis, che polarizza ricchezza e povertà e fa suoi i difetti della tradizione e i peccati del mercato globale. 

Intanto, nell’olimpo dell’economia calcistica, con i suoi due miliardi di dollari di utile per i Mondiali 2014, banchetta la Fifa, gli Official Sponsor come commensali: da un lato i partner della Fédération che, scrive Forbes, pagano da 25 a 50 milioni di dollari l'anno (Adidas, Coca-Cola, Emirates, Hyundai Motor Group, Sony e Visa), cui si aggiungono gli sponsor della Coppa del mondo, un altro gruppo di marchi globali: Budweiser, Castrol, Continental, Johnson & Johnson e McDonald, oltre al produttore europeo di alimenti biologici Moy Park, la società brasiliana di telecomunicazioni Oi e Yingli Solar, il più grande produttore di pannelli solari al mondo, che corrispondono alla Fifa da 10 a 25 milioni di dollari all’anno.