L’avevamo lasciato a centrocampo, in lacrime, seduto su un pallone mentre i compagni traevano i dadi dei rigori contro il Cile. Thiago Silva, capitano solitario e contestato del Brasile, riappare al 7’ del quarto di finale contro la Colombia, deviando in rete di ginocchio, di anca, d’istinto, un gesto da partite in spiaggia non certo da jogo bonito che caccia le streghe. Thiago ringrazia Dio a mani aperte, come nel Pater Noster del Messale Romano, forse ricorda la minaccia del presidente federale brasiliano José Maria Marin: «Se non vinciamo la sesta Coppa, la hexa, andremo tutti all’Inferno».  

 Scolari, allenatore verdeoro, chiama al ritiro uno psicologo per combattere lo stress dei calciatori e si scoccia per le critiche del capitano della Seleçao campione 1970, Carlos Alberto: «Questo è un Brasile di piagnucoloni! Piangono all’inno, piangono ai tackle, piangono ai rigori, basta pianti!». Dalla panchina Felipão continua ad aprirsi l’occhio con l’indice nell’italianissimo gesto: Mi capite? In campo i giocatori lo capiscono, Maicon in difesa porta forza ed esperienza, Fernandinho e Paulinho, insieme, assorbono il brio dei colombiani, Hulk, Fred e Oscar, malgrado i limiti evidenti, pressano con energia e Neymar, pur con il freno a mano tirato dalla tendinite, tiene in ansia i rivali. Cuadrado, il più brasiliano dei colombiani, fa vedere qualche tiro e un bel passo doppio, Guarin schiuma rabbia, Rodriguez deve lasciare la gloria - nel primo tempo - al cognato, il portiere Ospina, di cui ha sposato la sorella a soli 19 anni. Con 11 conclusioni in 45’ il Brasile fa record nel torneo. 

Quando Thiago Silva gela la Colombia di ginocchio sbilenco, lo psicologo avrebbe dovuto girare il lettino nello spogliatoio della squadra di Pekerman, sotto chiaro choc. Le quattro vittorie, contro le non terribili Grecia, Giappone, Costa d’Avorio e Uruguay, non cancellano il complesso di aver vinto solo due volte contro il Brasile, l’ultima nel 1991, alla vigilia della nascita di James Rodriguez, che sognava un altro compleanno di vigilia, il suo ventitreesimo cade giusto prima della finale Mondiale al Maracanà. Invece torna a casa, con i sei gol fatti: lo rivedremo in cima al mondo. 

 Dopo la soporifera Germania-Francia, un 1-0 così burocratico che sembrava in panchina ci fossero come allenatori il tedesco Spd Schultz e il presidente Hollande, la partita tra le squadre d’attacco a Fortaleza fa scintille, con il Brasile a impedire, a furia di falli tattici e difesa impostata, il volo alla Colombia. La frustrazione dei Cafeteros diventa spallate di Cuadrado a Neymar, impone a Thiago Silva il fallo da ammonizione che gli costerà da «impiccato» (così qui chiamano i diffidati) la semifinale, arriva al gol annullato a Yepes dopo mischione col portiere Julio Cesar. Rodriguez discute ancora con l’arbitro, Yepes ingoia amaro l’esultanza, la folla dell’Arena Castelão rivede lo spettro Cile e già David Luiz mette la palla di una punizione sul cerchietto di spray bianco dell’arbitro, scuote via un po’ di schiuma, e da 30 metri segna un gol bellissimo, il pallone non ha effetto, vola senza mezzo giro, nell’angolo alto alla sinistra dell’impotente Ospina. 

 La festa sembra poter cominciare, la torcida respira, ma Julio Cesar abbatte in area Bacca, l’arbitro lo grazia col giallo anziché il possibile rosso, e sul rigore James “Bond” Rodriguez accorcia, 2 a 1 e 10 minuti da giocare. James tira come suggeriscono gli studi dell’economista Matteo Mortellini: «Forte e centrale massima percentuale di reti». La Colombia spinge, Scolari si copre con Ramires al posto di Hulk, esce Neymar, sfiatato. Al 94’ il portiere Ospina in area brasiliana cerca il pareggio disperato, ma l’arbitro fischia la fine. Il Brasile vince di testa una gara difficile, giocata con freddezza. Scolari manda a casa Carlos Alberto il macho che non piange, lo psicologo laureato all’università e chiude, fino alla semifinale con la Germania, le porte dell’Inferno.