In un’era di identità ibride e autocreate, messaggi ambigui e in perpetua metamorfosi, David Bowie, il musicista, artista, attore, e inventore di stili scomparso a 69 anni per un cancro, era un pioniere in costante pellegrinaggio verso nuove mete. Non provate neppure ad attaccare sulla sua sagoma, magra e dinoccolata come quella di un adolescente irrequieto, le etichette della critica, fredde come le spille che trapassano le farfalle di una collezione: “singer, songwriter, producer, glam rock, art rock, soul, hard rock, dance pop, punk, electronica” sono solo le prime che, in un necrologio online rilanciato dal compagno di strada Brian Eno, raccoglie Hollywood Reporter. Non bastano e non basteranno mai per un artista che, nato nel XX secolo era evoluto senza strappi, fluido, elegante, fino al XXI secolo. Il suo ultimo album, Blackstar, numero 25 della carriera, è apparso l’8 gennaio, ultimo compleanno del cantante: qualcuno osserva che solo la stella del Capricorno, razionale, fredda, colta e analitica poteva presiedere sulla sua vita.

L’ARMA DELL’AMBIGUITA’

Nato l’8 gennaio del 1947, in una Londra dove ancora si comprava da mangiare con le carte annonarie, per il razionamento seguito alla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, Bowie si chiamava David Jones, ma già a 19 anni, nel 1966, decide di cambiare nome in David Bowie, non volendo condividere il più banale cognome di nascita con Davy Jones della popolare band dei Monkees. Per farsi notare assume atteggiamenti da omosessuale, dichiarandosi gay, tingendosi i capelli, lanciandosi in una serie di abiti che allora fecero scandalo ed oggi sono adottati a Los Angeles da tanti uomini di affari nel mondo dello spettacolo. Qualunque fossero le sue vere scelte personali, Bowie fa della fredda ambiguità, nella vita e nell’arte, una feroce formula di privacy e razionale efficacia. I suoi occhi di colore diverso, icona di tante foto e video, erano la conseguenza di una scazzottata a scuola, ma divennero invece simbolo di un secolo senza confini, dove ciascuno è il doppio di se stesso. E la musica di David Bowie, con la sua irresistibile ricchezza e varietà, era un mondo dai colori incerti al primo ascolto, che si precisavano col tempo in armonica, matematica, assolutezza.

IL CINEMA

Il cinema non tarda a scoprire il talento della giovane rockstar, dall’alieno in cerca di aiuto de L’uomo che cadde sulla terra di Nicolas Roeg 1976 all’ultimo film con la leggendaria Marlene Dietrich, Just a gigolo del 1976. Il teatro lo cerca, a Broadway, con la parte del protagonista in The Elephant Man, dolente storia di un deforme inglese che sogna amore e identità tra i “normali” e la sua algida personalità convince Martin Scorsese a dargli la parte di Ponzio Pilato ne L’ultima tentazione di Cristo del 1988.

“IL DOPPIO” ZIGGY STARDUST  

Online, e su twitter, vengono ora elencate le pietre miliari della strada artistica di Bowie, dal tentativo di creare un “doppio”, Ziggy Stardust, con The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars del 1972, con echi orientali cari a Yoko Ono e l’aura androgina che l’artista coltiverà per sempre. Il single Fame(scritto con John Lennon) e il long playing Station To Station lo rendono una star, arrivando al terzo posto nelle classifiche. Il primo lo raggiungerà con Let’s dance nel 1983, quando l’avanguardia di Bowie e il gusto dell’audience popolare coincidono nella tumultuosa stagione dei Tom Tom Club, Brian Eno, con cui collaborò all’album Low, Michael Jackson. La “fusion” con altre tonalità, stili ed artisti lo sedusse sempre, in collaborazioni con i Queen, Mick Jagger dei Rolling Stones, Tina Turner, Pat Metheny, suo fratello Tom, un batterista con il quartetto Tin Machine, Lou Reed.

L’ULTIMO “BLACKSTAR”
Alla fine riprende da solo, e furono successi di critica e un seguito anche tra il pubblico giovane che, al suo debutto, era ancora all’asilo. Tonight (1984), Never let me down (1987), Black Tie White Noise (1993, fino all’ultimo Blackstar testimoniano di un percorso artistico senza soste, pigrizie, concessioni alla moda del momento, nella scelta di mettere in musica la passione più bruciante, attraverso il controllo della ragione più astratta. Alle orecchie del pubblico anglosassone il nome che aveva assunto, Bowie, ricorda quello di un popolare coltello dell’epoca western, dal compagno di Davy Crockett: e come un coltello, preciso, acuto, affilato e a tratti spietato, taglia ancora la musica di David Bowie.