Il mondo è ancora incerto sulla corsa 2012 alla Casa Bianca - prevarrà Barack Obama o Mitt Romney? - ma il vero vincitore c’è già, si chiama Big Data. Venga eletto infatti il presidente democratico, o si affermi lo sfidante repubblicano, il successo sarà legato alla nuova tecnica di analisi e ricerca di umori ed opinioni degli elettori, che i tecnici chiamano in gergo Big Data. Big Data vi permette di identificare gli incerti, di sapere chi e perché va a votare per un certo candidato, su che tema i pensionati afro-americani dissentono da Obama e perché invece i veterani della Marina ispanici concordano con una certa proposta di Romney. Se la televisione, con i suoi dibattiti e gli spot, fa conoscere i politici all’opinione pubblica, se i giornali stimolano il dibattito anche online con i loro commenti, è solo Big Data a consegnare ai partiti l’anima del paese a meno di 50 giorni dal voto, con il candore di una confessione.

Big Data è l’analisi della conversazione sociale che si tiene ad ogni momento nella nostra era, davanti a un sito web, con l’apertura di una pagina Facebook, mandando una mail a un’amica, registrando il proprio parere su Twitter, seguendo certe notizie su Google News. Ognuno di noi passa al cellulare o al computer una parte della vita, di lavoro e personale, online e l’enorme massa di testi, immagini, dichiarazioni, pollici versi su Facebook e click su Google monta la fotografia istantanea del nostro mondo, in diretta, senza segreti. Il candidato che prima, e meglio, leggerà il cuore d’America nel gigantesco mazzo di tarocchi che si chiama internet, arriverà alla Casa Bianca.

La campagna elettorale 2012 non si corre neppure negli Stati già schierati, Obama vincerà a New York e in California, Romney in Texas. Ma anche nella decina di Stati incerti, Florida, Ohio, Colorado, Wisconsin, North Carolina, la battaglia non è globale. «Se vinciamo nella contea di Palm Spring, vinciamo la Florida e se vinciamo la Florida vinciamo la Casa Bianca» è il mantra che Obama ripete al capo del suo pacchetto di mischia, Jim Messina ed è davvero così, meno di un milione di elettori decidono. In grandi sotterranei ventilati e con computer capaci di operazioni considerate «artificial intelligence» entrano allora in campo i tecnici di Big Data, a Chicago col quartier generale, a Denver, a Miami. Se un elettore compra armi, versa fondi ai repubblicani e segue siti antiabortisti, la campagna di Obama non investe su di lui un click. Ma se dalla sua pagina Facebook, dalle mail che apre tra quelle ricevute dalla Casa Bianca, tra le pagine che segue su Google appare invece che, pur conservatore, è preoccupato dai tagli alla spesa pubblica che Romney e il suo vice Ryan possono promuovere, ecco allora che riceverà messaggi diretti a lui: per rassicurarlo che, con Obama, pensione, mutua e scuola non sono a rischio.

I due partiti conoscono nome, cognome, mail, gusti e indirizzo mail e di casa di ciascun incerto, uno per uno. Big Data è la fine della democrazia di massa, della comunicazione di massa, e, quando applicato non alla politica ma al marketing, del consumo di massa. Big Data è la fine della società che eleggeva presidenti come Roosevelt o Nixon, un messaggio per tutti, diffuso dai mass media. Big Data è la comunicazione «personal» in una società dove contano gli individui, ciascuno diverso dagli altri, Libertà, Fraternità, Diversità. Big Data sa quel che tantissimi leader e analisti stentano a capire in Italia, che ci sono elettori «di destra» su tasse e bilancio e «di sinistra» su matrimoni e adozioni gay, che ci sono elettrici «progressiste» sulla spesa da aumentare nella scuola, ma «conservatrici» sulla spesa da aumentare nella difesa. «L’uomo a una dimensione» deprecato dal filosofo Herbert Marcuse non esiste più, ciascuno di noi ha molte dimensioni e Big Data tutte le coglie e ripropone ai candidati. Qualcuno teme, sbagliando, il Grande Fratello, come se Big Data fosse il dittatore onnipresente dello scrittore Orwell. Non è così, Big Data non spia, raccoglie informazioni che ciascun elettore ha già, spontaneamente, messo in rete, senza forzare. Abbiamo reso pubblica la nostra privacy e la politica lo sa.

Che democrazia sarà quella di Big Data? Un mondo in cui il vicepresidente Biden si dice favorevole, da cattolico, alle nozze gay, per due settimane gli uomini di Jim Messina studiano le reazioni degli elettori su Big Data e infine Obama si dichiara a favore. Rispetto ai sondaggi tradizionali e ai focus group, Big Data ha spontaneità, freschezza, non è test da campione sociologico, è la nostra vita in diretta.

Oggi sappiamo che tra chi ha il telefono tradizionale a casa (anziani, residenti in zone rurali) Obama e Romney sono pressoché alla pari, ma tra chi usa solo il cellulare (giovani, precari, minoranze urbane) il presidente è in vantaggio. Durante i dibattiti tra i candidati, i due staff saranno impegnati sugli algoritmi, i filtri del web, giusti per comprendere come sta reagendo l’America, rimodellando il messaggio non sui vecchi «blocchi sociali» ma su una caleidoscopio di singoli uomini e donne. La democrazia del XXI secolo si chiamerà Big Data (in Italia un laboratorio d’avanguardia è già al lavoro all’Imt di Lucca): e chi dei leader italiani in corsa nel 2013 prima lo capirà, più lontano andrà. Perché se chi vince Palm Spring vince la Casa Bianca, chi vince Big Data vince tutte le elezioni.