Antifaschistischer Schutzwall. Il nome ufficiale del muro di Berlino era proprio questo, Barriera di protezione antifascista. Basta tradurre il linguaggio propagandistico sovietico per capire la nascita stessa del muro: un ostacolo per i contatti della zona Est della città, di influenza comunista, con Berlino ovest. Una vera e propria enclave occidentale nel cuore della Repubblica Democratica Tedesca.

Si è detto e scritto tanto su ciò che “il” muro per eccellenza ha significato. Una barriera che non divideva solo una città ma due interi mondi. È l’immagine concreta della famosa “cortina di ferro”, scesa sull’Europa dopo la II Guerra Mondiale a separare nettamente le due sfere di influenza, russa e americana, in cui si era diviso il continente.

Oltre al significato politico, non bisogna dimenticare che la divisione netta di Berlino ebbe anche risvolti pratici sulla vita dei suoi abitanti.

Immaginate una città dall’alto, con le sue strade e i suoi quartieri, e tracciate nel bel mezzo di essa una riga. Molte delle strade si interromperanno, tagliate nel mezzo dalla linea segnata, e con esse la possibilità di comunicare tra le due zone. Il muro ha rappresentato un po’ questo.

Nel 1961 Berlino si poté dividere in due porzioni di territorio, ma i berlinesi? La barriera separò amicizie e affetti, modificò abitudini e interruppe contatti. In realtà già con l’avvio della costruzione iniziarono i tentativi di fuga. Si calcola che negli anni in cui il muro restò in piedi furono più di cinquemila le persone che misero a rischio la propria vita per passare dall’altro lato. Quasi tutti passati dalla zona est alla zona ovest, anche nei modi più disparati.

È interessante notare come gli “evasi” in realtà fuggissero verso la porzione chiusa di Berlino. La parte occidentale della città era infatti circondata dal territorio della Germania Est e separata da essa da più di 150 km di barriera. Di questi, circa 40 km formavano il muro all’interno della città.

Non tutti coloro che cercarono di attraversare vi riuscirono. La prima vittima del muro fu una donna. Ida Siekmann, pochi giorni dopo la chiusura del confine, cercò di buttarsi nella zona occidentale dalla finestra del suo appartamento, posto proprio sulla frontiera. Tra gli episodi più clamorosi merita invece di essere ricordato il caso del diciottenne Peter Fechter. Attraversato il primo muro, il giovane venne colpito dalle guardie di frontiera mentre tentava di arrampicarsi sul secondo. Cadde ferito nella zona tra le due barriere e venne lasciato morire lì, tra le proteste dei cittadini di Berlino Ovest che avevano assistito alla scena.

Non mancarono i casi di fuga tra le stesse guardie di frontiera della zona Est. Il nome Conrad Schumann non dice molto, ma di sicuro in tanti avranno in mente la celebre foto che lo raffigura in abiti militari, proprio nell’atto di compiere il balzo verso la zona Ovest attraverso il filo spinato.

Oggi, per ricordare queste e altre storie, molte iscrizioni e monumenti costellano il percorso attraversato dalla barriera fino al 1989.
Del muro invece sopravvivono solo alcuni tratti a Berlino e miriadi di frammenti nelle case di tutto il mondo, sparsi come souvenir di quello che è stato, letteralmente, un pezzo di storia del Novecento.