L’ultimo libro di Michele Brambilla: dalla rievocazione di quella stagione un messaggio di speranza per i giovani

La nostalgia è bruttissima bestia, perché addolcendo nel ricordo il passato, copre di zucchero a velo e amnesia i mali che ci lasciamo dietro. Un gran bene per noi umani, una grazia per rendere meno amaro il nostos, viaggio di ritorno della memoria centro dell’epica di Omero e radice di «nostalgia». Una maledizione però per gli storici, diaristi, cronisti che si affidino al felice ricordare il passato tradendolo. Già Leopardi nota nello Zibaldone (redatto tra il 1817 e il 1832) come i vecchi contadini rimpiangessero le passate stagioni, quando il tempo era così più tanto mite del frigido XIX secolo! 

Michele Brambilla, vicedirettore di questo giornale e reporter della generazione ruggente dei baby boomers, i nati fra il 1946 e il 1964, nel suo struggente diario Vinceremo di sicuro, sfugge alla tentazione di un nostos alla melassa, sentimentale. Ricordando gli Anni Sessanta, elenca puntuale i dolori, il Vajont con i morti mai contati per un profitto volgare coperto dalla Democrazia Cristiana al governo, il terrorismo che chiude il 1969 a piazza Fontana, i lutti sportivi con la fine precoce del povero Meroni, beat del calcio, la violenza sessuale patita da Franca Viola in Sicilia, allora coperta dal codice penale, il razzismo latente, con lo showman bambino Renzo Arbore cui i vicini emiliani dicono: Vieni da Foggia? «Africa». 

 Brambilla è colpito dal pessimismo dell’Italia 2015. Ricorda l’Autostrada del Sole e la metropolitana di Milano, inaugurate con orgoglio e lavoro per tutti nel 1964, i Giochi Olimpici di Roma, i primi trasmessi dalla tv in mondovisione, e si chiede – senza dichiararlo - come il genio e l’ottimismo di padri, madri e nonni che presero nel 1945 un Paese distrutto dalla guerra portando al boom economico, la Dolce Vita, il design, la medaglia d’oro di Berruti sui 200, il Nobel per la chimica a Natta, si avviluppi ora nell’elogio del sabotaggio alla Tav, una crescita economica ferma da 25 anni, corruzione, crollo delle nascite. 

 Scrive allora «Oggi il futuro non sembra più lo spazio in cui riponiamo la nostra speranza di felicità: sembra piuttosto l’attesa rassegnata di nuove delusioni... Se oggi viviamo male il presente, è soprattutto perché abbiamo paura del futuro. È la malattia della nostra epoca: la perdita di fiducia… Ho scritto queste semplici pagine, spero lievi, per ricordare il tempo in cui i nostri sogni erano ancora intatti, ma anche per scacciare un pessimismo che ci impedisce di cogliere la complessità della realtà, fatta delle sue infinite cose piccole e grandi, tutte irripetibili; cose che saranno, domani, la nostra nostalgia… per augurare, ai bambini e ai giovani di oggi, di ritrovare la stessa speranza che avemmo noi allora, e per aiutarli a saper sempre riconoscere, in qualunque circostanza, la straordinaria bellezza del vivere». 

Il titolo del libro, Vinceremo di sicuro è preso da uno dei motti del leggendario allenatore dell’Inter campione del mondo 1964-65, Helenio Herrera, e Brambilla, tifoso nerazzurro, usa il calcio come metafora di quegli anni, con interviste, ritratti, ricordi. Fratello bauscia di Michele, col quale spesso commento gioie e dolori dei ragazzi nei ritagli di tempo sul lavoro, metto però in guardia il lettore dal considerare Vinceremo di sicuro, uno dei tanti bei libri dedicati all’amore della squadra dei Moratti, Thohir, Zanetti. È una foto di gruppo della generazione cui appartengo, senza sconti per gli errori commessi, una lettera da fratello maggiore ai ragazzi di oggi, siano juventini, granata, milanisti o tifosi del basket: tenete duro, andate avanti, abbiate fede e coraggio. Perché i nostri madri e madri, ricordati nei loro amori da Franca Valeri, Vecchioni, Caterina Caselli, Morandi, lo stesso Moratti, hanno ragione: la vita è bellissima. Col suo libro, Brambilla dedica l’hashtag caro agli interisti all’Italia intera: #amala.