Nel 1943 mio padre era un aspirante ufficiale di Marina e studente di ingegneria e fisica, rimasto a Palermo per una visita medica dopo gli esami all'Accademia di Livorno.

L'entrata degli americani in Sicilia concluse la sua carriera militare, ma si trovava in difficoltà economiche con la famiglia. Suo fratello, dopo l'8 settembre, venne deportato con altri ufficiali in un lager tedesco per non avere prestato giuramento alla Repubblica di Salò. Uno zio di mio padre, ferroviere socialista, apprese che gli americani cercavano speaker, non compromessi con il fascismo, per la neonata Radio Palermo, prima emittente libera nell'Europa ancora occupata.

Mio padre, da studente, era stato un attore dilettante e aveva studiato dizione. Decise quindi di provare come lettore delle notizie e fu assunto dal giovane italoamericano Mikhail Kamenetski, un sergente del PWB, lo Psychological Warfare Branch, che dirigeva la radio. Da lì a poco mio padre scoprì che i reporter erano pagati meglio dei lettori e avevano accesso alle agognate Razioni K, i cibi pronti per l'esercito Usa che sfamavano una famiglia intera nel disperato 1943.

Chiese a Kamenetski se poteva cambiare ruolo e, in una settimana, il sergente lo promosse giornalista. Mio padre scriveva il bollettino con le notizie di guerra, lavorando sui dispacci d'agenzia, e il sergente gli diede la lezione che poi lui sempre ripeté a me "Metti anche le notizie negative per gli americani. Trovane ogni giorno almeno una, Una nave affondata, un aereo abbattuto, un fronte dove arretriamo. La gente è abituata alla propaganda del tutto va bene dei nazifascisti, se non diciamo la verità, anche quando va male per noi, non ci crederà".

Una lezione importante, la propaganda non è giornalismo, e alla fine nuoce sempre. Mio padre si ammalò di tifo, le condizioni sanitarie a Palermo sventrata dai bombardamenti della primavera, erano orribili. In punto di morire la sua paura era che la famiglia, sua madre, sorella e la fidanzata, mia futura madre, potessero perdere le razioni K e fare di nuovo la fame. Pregò lo zio di andare dal sergente Kamenetski a informarlo e Kamenetski disse solo "Riotta lavora con noi, la paga e le razioni continuano, finché non guarisce".

Un medico guarì infine mio padre, con iniezioni bizzarre di latte inacidito. Tornato al lavoro, restò per sempre legato al curioso sergente russo italo americano che l'aveva salvato. 50 anni dopo lo rivide a New York, alla redazione del Corriere della Sera dove io ero inviato. Il sergente si chiamava ora Ugo Stille, dal nome dello pseudonimo che aveva condiviso con il critico Giame Pintor, prima della guerra (Pintor cadde nella Resistenza, 1943) ed era direttore del Corriere. L'abbraccio tra Misha Stille e mio padre, a Manhattan, è un ricordo bellissimo, e questa foto, quel sorriso, quel microfono, quella felicità di raccontare liberi e schietti il mondo, mentre Glenn Miller suona Moonlight Serenade, è la più cara per me.