“Ve lo aspettavate?”. Lo ha chiesto Chiara Appendino al suo pubblico dal palco di Torino subito dopo aver avuto notizia di aver espugnato la storica roccaforte piemontese del centro-sinistra al PD. A dire il vero a guardare quello che stava succedendo in rete, nella settimana prima dei ballottaggi c’era da aspettarselo eccome. Già prima del primo turno la rete aveva dato chiari segnali che parevano anticipare il verdetto delle urne, con  l’outisder cinque stelle che faceva segnare un netto distacco in termini di coinvolgimento generato sulla rete rispetto al rivale navigato. Una fuga in termini di like e condivisioni collezionate continuata nei 15 giorni precedenti al ballottaggio e con un vantaggio che andava aumentando inesorabilmente. Una campagna non aggressiva ma coerente con la calma del personaggio che ha fatto della pazienza e della perseveranza le virtù della sua campagna elettorale. La memoria della rete rende il risultato una beffa per Fassino, recuperando le dichiarazioni dove l’ex diessino si augurava ironicamente che i Cinque stelle avessero l’opportunità di amministrare la città.

Ma l’oracolo dei social non parlava solo per la città sabauda. In tutte le grandi città il candidato il cui bottino di citazioni su Twitter cresce più rapidamente nelle ultime ore prima del voto ottiene poi la vittoria (con la sola eccezione di Napoli dove de Magistris risulta sostanzialmente sconosciuto a Twitter).

I presagi erano già molto cupi anche sulla performance del candidato piddino di Roma, Roberto Giachetti, mai entrato veramente nella partita della rete. Il caso di Giachetti dimostra una volta di più che un conto è far parlare di sè, esercizio nel quale Giachetti si difende rispetto alla rivale cinquestelle Virginia Raggi, un conto è ottenere il sostegno del pubblico al proprio messaggio, ossia raccogliere il consenso della rete, rimasta sempre fredda nei suoi confronti, anche nelle ultime due settimane della gara elettorale.

 

 

Chissà che Renzi non abbia gettato un occhio anche ai social prima di sentenziare, prima del voto, che Roma era ormai irrecuperabile. E chissà quale boccone amaro hanno dovuto deglutire gli analisti di Forza Italia e Lega osservando il perpetuarsi del fenomeno Giorgia Meloni. Se infatti dalla torta dei post su Facebook erano sparite, come è logico, le fette dei candidati esclusi dal primo turno, Giorgia Meloni ha invece continuato a interagire con grande successo sui social. Sino a sette giorni dal secondo turno, la candidata sostenuta dal partito di Salvini superava costantemente anche Roberto Giachetti al conto dei like e delle condivisioni.

La consolazione per il PD esiste, ma è magra comunque: perdere contro i 5 Stelle, ma vincere contro il centrodestra. Sarà ora interessante osservare se il popolo della rete, che ha reputato il movimento grillino adeguato a governare due grandi città, confermerà nel tempo il suo giudizio sul movimento. Sarà importante per Grillo dimostrare che la rete può autosostenersi, senza la presenza di un opinion leader a catalizzare il consenso.

Ma cosa significhi in profondità questo voto per il governo centrale, ha provato a dirlo lo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Andando oltre la vittoria sul fil di lana di Milano, prefigurata dall’equilibrato scontro social  a suon di “condividi” e “like” tra Giuseppe Sala e Stafano Parisi, per Renzi la complessiva sconfitta del Partito Democratico è da leggere non come l’espressione di un voto di protesta, ma di cambiamento. Del malcontento espresso dalla rete nelle città dove il movimento di Grillo e Casaleggio ha vinto abbiamo già detto  nelle analisi precedenti. Ma le parole più utilizzate dai candidati su twitter nelle ultime due settimane sembrano dare qualche sostegno alla lettura di Renzi. Gli hashtag #coraggio e #cambiamotutto, entrano nella top ten di Roma e Torino, ma sono assenti a Milano e a Napoli e si presentano costantemente legati ai candidati pentastellati, poi vincenti.  

Come normalmente succede, il ballottaggio ha scoraggiato alcuni elettori del primo turno facendo calare l’affluenza complessiva. La sfida Sala-Parisi è quella che tiene più desta la partecipazione al voto: è andato a votare il 51,8% degli elettori contro il 54,65% del primo turno. Nelle altre città il calo rispetto al primo turno è stato invece più importante: 11% in meno a Roma (55,4%), crollo del 19% a Napoli (solo il 37,89% degli aventi diritto) e del 12% a Torino (48,5%).

Se si confrontano le mappe del voto agli ultimi ballottaggi con quelle dei ballottaggi precedenti, Roma si staglia ancora una volta sullo scenario delle amministrative come un caso. La capitale è l’unica tra le grandi città al voto dove l’affluenza al ballottaggio sia cresciuta.

 

Milano

 

Napoli

 

 

Roma

 

 

Certo le elezioni del 2013 furono circondate da un’atmosfera di densa disillusione civica, alla quale però la cronaca Romana nel frattempo non ha certo fornito motivi di riscatto. Significativo quindi che la larga vittoria della Raggi sia stata accompagnata da un aumento dell’affluenza a un +11% rispetto ai ballottaggi del 2013 (54,6% contro il 44,3%).  

Ancora più impressionante l’interesse suscitato da Virginia Raggi, primo sindaco donna di Roma, sulla rete. La linea delle ricerche effettuate su google relative alla neo-sindaco schizza verso l’alto dopo i ballottaggi visualizzando una curiosità degli italiani incomparabile rispetto a quella suscitata da Marino dopo l’elezione a Sindaco. Deve trattarsi in qualche modo del fascino del nuovo che avanza se la stessa cosa si può dire delle ricerche effettuate attorno al nome di Chiara Appendino, neo-sindaco cinquestelle di Torino, rispetto all’interesse generato nel tempo dal ben noto Piero Fassino.