A partire dal giorno successivo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo che da vita al contratto a tutele crescenti si è riscoperto un genere della comunicazione pubblica aziendale che non si vedeva da tempo. E' l'annuncio di nuove assunzioni e stabilizzazioni in blocco. Dichiarazioni di questo tipo sono state raccolte anche al Forum Ambrosetti, dove la metà delle aziende intervistate ha affermato di voler assumere, e non passa giorno senza che sui giornali compaia notizia di qualche azienda che aumenta o stabilizza il proprio organico.

E' un dato certamente positivo, ma da guardare con cautela. E' ancora presto infatti per dire se il Jobs Act produrrà davvero così rapidamente l'alto numero di assunzioni che l'entusiasmo delle imprese sembra prefigurare. Bisognerà aspettare i dati Istat e un quadro solido sarà effettivamente disponibile solo con l'autunno, quando si potrà valutare anche l'impatto delle assunzioni stagionali.

Sono invece già disponibili i primi segnali relativi alla  decontribuzione prevista dalla legge di Stabilità. Una prima relazione presentata dal Presidente dell'Insp Tito Boeri ha indicato che dall'1 al 20 febbraio ben 76 mila imprese hanno fatto richiesta del codice necessario a richiedere lo sgravio. Il numero di assunzioni potrebbe quindi essere più alto, dal momento che ci si apsettano assunzioni e stabilizzazioni collettive. Il dato per ora disponibilie all'Insp non permette ancora di dire se e quante assuzioni siano state effettuate. D'ora in poi l'istituto distribuirà i dati sistematicamente ogni mese, offrendo una comparazione con le assunzioni degli anni precedenti.

Questo primo dato però è in sé interessante. Si tratta infatti di un'iniziativa delle aziende precedente l'avvento del contratto a tutele crescenti. In altre parole queste 76mila aziende si sono mosse quando la normativa di riferimento per quanto riguarda i licenziamenti era ancora l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Sembra quindi che la possibilità di essere esentati dal versamento dei contributi previdenziali per i primi tre anni (con un tetto di 8.060 euro) introdotta con la legge di Stabilità 2015 sia stata sufficiente a stimolare assunzioni e stabilizzazioni. Eppure al momento della legge di stabilità il fenomeno della corsa alle assunzioni annunciate non si era registrato.

Tra annunci e numeri reali non c'è necessaria corrispondenza, e questo era ovvio; ma non c'è nemmeno beneficio di immagine per le imprese che rischiano di ammettere quanto Renzi e il suo Governo gli ha in più occasioni addebitato, ossia di essersi nascoste dietro l'alibi dell'articolo 18.

Questo non è inoltre il primo dato significativo sulle assunzioni e conversioni di contratto stimolate dall'incentivo economico. Nel mese di gennaio è infatti stato misurato in Lombardia un aumento del 23% di contratti a tempo indeterminato.

Inoltre cominciano a comparire anche i casi di contrattualizzazione dell'articolo 18. Sì, perché la mitografica norma non è stata abrogata dal Jobs Act, come una comunicazione grossolana ha contribuito a far intendere. La disposizione delle legge 300/1970 (il c.d. Statuto dei Lavoratori) non è più la norma di riferimento per le nuove assunzioni, ma se richiamata esplicitamente in un contratto di lavoro è ancora efficace. E' quello che è successo per esempio alla Novartis dove azienda e sindacati hanno concordato la riassunzione di circa 30 lavoratori provenienti da altre attività del varesotto prevedendo che per i loro contratti fosse incluso l'articolo 18.

In verità le stime più ampie provenienti dal governo in merito ai nuovo posti di lavoro sono relative proprio alla decontribuzione e non al contratto a tutele crescenti. Era stato Padoan a ipotizzare un discusso più 800 mila. 

Nonostante ciò l'enfasi posta sull'articolo 18 è stata tanta che il rischio giocato dal Governo è comunque particolarmente alto: se le assunzioni motivate dal Jobs Act non produrranno quella mole di nuovi posti prefigurata da calcoli dei vari centri studi e dagli annunci delle aziende, con il dato odierno a Renzi potrà essere imputata la scelta di aver usato la mano pesante della disintermediazione sindacale per rimuovere un diritto storico acquisito dai lavoratori, convalidando anche l'argomento del “falso problema” usato da alcuni dei suoi oppositori.

Ciò potrebbe obbligare il Governo a trovare le coperture per riproporre lo sgravio contributivo nel prossimo anno. La decontribuzione dura infatti tre anni ma vale solo per le assunzioni effettuate nel 2015.

La missione impossibile è quella di convincere i lavoratori che il superamento dell'articolo 18 è andato anche a loro vantaggio, ma senza l'incentivo economico generalizzato (senza discrimine per fasce d'età o condizioni di svantaggio) c'è il rischio di non avere un trend di nuovi posti che giustifichi questa interpretazione.

L'articolo 18 si lega infatti alle assunzioni solo per quelle imprese che temono di vedere crescere irrimediabilmente l'impatto dei costi fissi in situazioni di calo delle commesse. Il vantaggio è quindi di tipo organizzativo. Perché se ne percepiscano paradossalmente i vantaggi da parte dei lavoratori serve che entri a regime quel nuovo paradigma della flexicurity che per ora è solo un disegno di intenti. In altre parole servirà vedere non solo calare la disoccupazione, ma anche diminuire significativamente la sua durata media.