Quale migliore occasione di una Olimpiade per mostrare la forza di una nazione? Tutti i regimi totalitari hanno puntato molto sullo sport come strumento di propaganda. Mettere in risalto la prestanza fisica degli atleti e le capacità organizzative di un paese, infatti, sono stati sempre modi per evidenziare la potenza del regime stesso.

È quanto accadde anche nella XI Olimpiade, che si tenne nella Germania in piena dittatura nazista.

La città scelta per la XI Olimpiade, da tenere nel 1936, fu Berlino. Anche per una sorta di “risarcimento” per i Giochi del 1916, che si sarebbero dovuti tenere in Germania e che in parte erano stati preparati, ma che poi non si svolsero mai a causa della I Guerra mondiale.

La scelta di Berlino era stata presa già nel 1931, dunque prima che Hitler prendesse il potere in Germania. Con l’instaurazione del regime nazista, però, da molti paesi si levarono voci per spostare la sede dei Giochi. Voci che non ottennero l’effetto sperato. Le manifestazioni contrarie allo svolgimento dei Giochi a Berlino furono tante e in alcuni paesi si organizzarono delle vere e proprie contro-Olimpiadi, come negli USA o in Spagna.

Hitler era intenzionato invece ad approfittare il più possibile dell’evento per la sua propaganda. Lo testimoniano la costruzione di grandi impianti sportivi che riflettessero le linee architettoniche dominanti in quel periodo, la massiccia partecipazione di pubblico alle competizioni, e soprattutto il largo utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa. A questo proposito, ad esempio, fogli di informazione dedicati ai Giochi vennero stampati quotidianamente e tradotti in più lingue, si girò un film dedicato alle Olimpiadi e, per i possessori dei pochi apparecchi televisivi, si organizzarono trasmissioni per permettere di seguire in diretta le competizioni.

In questa edizione, che si tenne dal 1° al 16 agosto, parteciparono 3962 atleti, di cui le donne erano meno di un decimo ed erano alloggiate in un villaggio a parte rispetto agli uomini.

Le gare disputate furono 129 ed è interessante sottolineare come quelle di Berlino furono le ultime Olimpiadi in cui figurarono tra le discipline anche concorsi d’arte, dalla letteratura alla musica, dalla scultura alla pittura. Discipline in cui l’Italia ottenne un discreto successo.

Ma la XI Olimpiade è spesso posta sotto i riflettori per le ripercussioni che ebbero su di essa le politiche razziali avviate da Hitler sin da quando aveva preso il potere. Proprio l’anno prima dei Giochi erano entrate in vigore in Germania le Leggi di Norimberga, che imponevano restrizioni ai diritti civili della popolazione di origine ebraica e che aprivano le porte alla “soluzione finale”, quindi alla eliminazione fisica degli ebrei.

Molti atleti tedeschi erano di origini ebraiche, ma furono gradualmente allontanati negli anni prima delle Olimpiadi, tanto che ai Giochi solo una giovane ebrea rappresentò la Germania nelle competizioni. Era Helen Mayer, che concorreva nella scherma individuale e che per la sua fama non si poté escludere dai Giochi. Mayer vinse la medaglia d’argento, ma subito dopo fece ritorno negli Stati Uniti.

Le leggi razziali non assottigliarono solo la compagine degli atleti. Erano ebrei anche alcuni personaggi in vista tra gli organizzatori dell’edizione, e ciò causò non poco imbarazzo alle autorità naziste. Emblematico è il caso di Wolfgang Fürstner, responsabile del Villaggio Olimpico, che venne dapprima degradato e poi espulso dall’incarico. Fürstner si sarebbe suicidato pochi giorni dopo la fine dei Giochi.

Gli ebrei naturalmente non erano soltanto tra le fila tedesche e ulteriore motivo di imbarazzo per i nazisti era la presenza di diversi atleti di colore, in particolare nella compagine statunitense. Tra questi fece particolarmente parlare di sé Jesse Owens, atleta statunitense vincitore di quattro medaglie d’oro in quella edizione. Owens è spesso ricordato per la mancata stretta di mano da parte di Hitler, episodio in realtà privo di fondamento.  

  • La torcia olimpica

Le Olimpiadi del 1936 videro per la prima volta l’introduzione di una interessante novità: la torcia olimpica.

Sin dai Giochi olimpici dell’antichità un simbolico fuoco ardeva in un braciere nel luogo in cui si svolgevano le competizioni. In seguito alla rinascita delle Olimpiadi la fiamma tornò a splendere a partire dall’edizione del 1928, ma è solo da quella di Berlino del 1936 che viene usata la fiaccola olimpica come la conosciamo noi oggi. Da Olimpia, dove il fuoco viene acceso, la fiaccola viene portata simbolicamente fino al luogo in cui si svolgono i Giochi richiamando il legame tra l’antico e il nuovo.

La fiaccola oggi è entrata a pieno titolo tra i simboli dei Giochi, una delle icone, insieme ai cinque cerchi, subito associate alle Olimpiadi. Ed è anche il simbolo più tangibile, visto che percorre varie nazioni prima di giungere nel luogo della competizione, attraversando città e venendo a contatto con la gente.

Nell’ultimo tratto viene portata dai “tedofori”, in genere atleti o ex atleti di fama, o personaggi in vista e particolarmente rappresentativi. Il tedoforo accende con la torcia la fiamma olimpica nel braciere il giorno dell’apertura dei Giochi, in modo che durante tutta la competizione il fuoco resti acceso a simboleggiare la forza dei valori sportivi e a richiamare lo spirito delle Olimpiadi di due millenni fa.